Qualsiasi dibattito intorno a Everything Now, il nuovo disco degli Arcade Fire, si potrebbe velocissimamente derubricare a una semplice riga:
“Non sono (più) gli Arcade Fire di una volta. Già, e allora?”
Qualsiasi dibattito intorno a Everything Now, il nuovo disco degli Arcade Fire, si potrebbe velocissimamente derubricare a una semplice riga:
“Non sono (più) gli Arcade Fire di una volta. Già, e allora?”
Difficile. È faccenda complessa, scrivere parole su un disco come Skeleton Tree, l’ineffabile ultima (in ordine di tempo, ma anche in senso escatologico, si sarebbe tentati di dire) opera di Nick Cave.
La difficoltà sta soprattutto in un rischio, in una tentazione. Rischio e tentazione calcolatissimi, sia ben chiaro: calcolatissimi dall’Autore, che è il primo ad agevolarli, a introdurli, per non dire a istigarli e iniettarceli in testa, e da cui è praticamente impossibile non farsi coinvolgere.
Originariamente pubblicato su Bergamo&Sport, lunedì 30 marzo
Una storia d’amore e di passione. Non c’è modo più azzeccato per definire la vera e propria devozione di Tullio Panza, splendido sessantenne di Cisano, per l’Atalanta e il calcio: e sbaglia chi pensa che a definirla così si pecchi di retorica o di luoghi comuni. Così come sbaglia anche chi pensa che una storia del genere possa interessare magari solo a chi tifi la squadra di Reja.
Originariamente pubblicato su Bergamo&Sport di lunedì 23 febbraio.
Questa intervista trova spazio nel blog principalmente perché è un’intervista a una persona decisamente interessante da leggere per le esperienze che racconta, e poi perché può aiutare a far luce su un mondo, quello del calcio (in questo caso dilettantistico, ma fatte le debite proporzioni le dinamiche non sono poi così diverse dal cosiddetto calcio che conta), che è vittima troppo spesso di facili e un po’ banalotti preconcetti, ma dove la cifra principale è ancora quella della passione, che coinvolge giocatori, allenatori, dirigenti e tifoserie.
Tristano Testa, o per meglio dire Matteo Galbusera, come è iscritto all’anagrafe, è un comico, clown, artista di strada e giocoliere della Brianza lecchese che da anni gira per l’Europa con i suoi spettacoli a cavallo tra il cabaret, l’assurdo e la musica. Ed è anche un mio compagno di liceo che è riuscito a farcela, costruendo qualcosa di importante con la sua passione. Un successo sempre crescente, fino a entrare nella famosissima compagnia canadese del Cirque du Soleil, con la quale parteciperà alla prossima tournée mondiale.
Parlare con Emiliano Deiana è una di quelle cose che fanno davvero bene: significa, fondamentalmente, parlare con una persona intelligente. E in questa semplicissima definizione c’è tutto quel che dovrebbe servire per farvi proseguire nella lettura di questa lunga ma, vi assicuro, sempre più che interessante intervista. Splendido quarantenne, Emiliano è il sindaco di Bortigiadas, un paese della Gallura vicinissimo a dove Fabrizio De André scelse di vivere. Dal punto di osservazione di questa splendida terra, Emiliano ci dice la sua su un sacco di temi, dalla politica, ovviamente, campo nel quale il Nostro meriterebbe, per la sua lucidità, uno spazio d’azione decisamente più vasto, a mio parere, alla scrittura e alla musica, due delle sue passioni più grandi. Deiana, infatti, è anche scrittore (ma non diteglielo, perché non ama questa definizione), e di libri ci parla diffusamente, così come di sport, di Sardegna e di indipendenze. Buona lettura!
Una bella chiacchierata con una persona per cui nutro stima a pacchi: lo definirei così il dialogo con Alessandro Robecchi. Attualmente autore per Maurizio Crozza, ma anche collaboratore de Il Fatto Quotidiano, Micromega e Pagina 99, Alessandro è una persona che è a stretto contatto con la satira da moltissimi anni, avendola frequentata fin dai tempi del mai abbastanza rimpianto “Cuore” di Michele Serra e Claudio Sabelli Fioretti, negli anni ’90. E poi gli anni a Radio Popolare (ero uno dei fedeli ascoltatori della sua trasmissione quotidiana “Piovono Pietre”), al Manifesto, quelli come fondatore del primo mensile free-press italiano (Urban) e, appunto, quelli come autore televisivo, da “Markette” a “Ballarò” (in televisione oggi è autore anche di Doc3 e “Figu”, su RaiTre). In mezzo un libro su Manu Chao, uno di racconti e riflessioni (anche questo intitolato “Piovono pietre”) e, uscito una manciata di giorni fa, un romanzo per Sellerio, “Questa non è una canzone d’amore”. Insomma, uno di quei cervelli che non stanno mai fermi e con cui discutere a 360° di un bel po’ di cose. Quella che segue è appunto la versione integrale della nostra chiacchierata.
Ho conosciuto di persona Giorgio Canali un po’ più di due anni fa, quando abbiamo entrambi partecipato a una serata riminese dedicata alle Murder Ballads di Nick Cave. Io, lui e una valente ciurma di musicisti che comprendeva anche Andrea Garbo e Vincenzo Vasi eravamo una sorta di backing band che faceva da colonna sonora alla recitazione dei testi di Cave, tradotti in italiano ed eseguita da altri musicisti (tra gli altri, Cristiano Godano, Omar Pedrini e Marco Parente). In quell’occasione ho avuto modo di apprezzare non solo uno dei pochi “eroi” del panorama musicale italico, ma anche una gran bella persona, solo in apparenza burbera e ruvida tanto quanto spassosissima e di cuore quando ci parli. Logico dunque pensare che, prima o poi, sarebbe stato un ospite perfetto per lo Zigomo Gelido: questione di tempo, ed ecco la chiacchierata con questo pezzo di storia del rock italiano (oltre alla sua attività solista con i Rossofuoco, basti citare la triade CCCP-CSI-PGR), un ottimo protagonista di un romanzo di Celine o di una di quelle serie tv americane che anche Giorgio adora, come leggerete più sotto.
Parto da una notazione personale: all’incirca una ventina di anni fa, i miei mi portarono a vedere, a Milano, al teatro Franco Parenti, “Oylem Goylem”, uno spettacolo di teatro e musica con un potente e carismatico protagonista, che intrecciava aneddoti e storielle della tradizione ebraica con canzoni popolari, benissimo cantate e altrettanto splendidamente suonate, di quel popolo. La fusione di gioia, ironia, tristezza, malinconia di quello spettacolo mi toccò tantissimo, e negli anni, poi, ho scoperto che l’inclinazione del mio carattere per quel territorio meticciato di sentimenti che gli spagnoli chiamano duende e gli slavi sevdah era particolarmente affine con quelle musiche e quelle parole. Parole e musiche erano raccontate da un protagonista che si chiama Moni Ovadia, che, poi, ho continuato a seguire e apprezzare, per l’intelligenza e l’acutezza non solo della sua arte ma soprattutto delle sue riflessioni e delle sue posizioni. Continue reading
Questo è il resoconto di un non-dialogo. Quello con una attrice impegnata, una donna di sinistra (Gaber, le figure così, le chiamerebbe “polli di allevamento”). Un’intervista, in realtà a malapena definibile tale, con Lella Costa, che ho realizzato per il giornale per cui lavoro, Bergamo&Sport, in occasione della data bergamasca del suo spettacolo sul femminicidio. Siccome è un non-dialogo, e siccome da un lato mica mi interessa proporre solo le ciambelle che riescono col buco, e dall’altro, molte volte, le gemme risaltano meglio in contrasto col fango (e viceversa) riporto testualmente il pezzo che è stato pubblicato dalla testata, miei commenti compresi.